Dante Paolo Regazzoni (1916 - 1999)

Dante Regazzoni nasce a Cortenova in provincia di Lecco nel 1916.
Incomincia la sua ricerca in Valsassina poco più che ventenne, da autodidatta, in un periodo storico dove solo la “passione” poteva supplire la carenza di mezzi di sostentamento e di comunicazione.

Nel 1953 si iscrive all’ANLAI e inizia una fitta corrispondenza, che si protrarrà diversi anni, con il Prof. Gioacchino Pasqualini, presidente “storico” dell’associazione, che gli fornisce tra l’altro modelli e misure per iniziare una vera e propria attività nel piccolo laboratorio di via A. Volta a Cortenova.
Nello stesso periodo si attiva il sodalizio con Leandro II e Giacomo Bisiach protratto per oltre quarant’anni, fino alla scomparsa di quest’ultimo nel 1995. Frequentando il famoso laboratorio di corso Magenta a Milano, viene in contatto con alcuni tra i principali liutai che, insieme ai fratelli Bisiach, hanno caratterizzato la liuteria lombarda della prima metà del novecento tra essi Gaetano Sgarabotto, Giuseppe Stefanini, Ferdinando Garimberti. (Meeting New York 1989)

Nella seconda metà degli anni cinquanta, grazie anche all’aiuto e all’amicizia con alcuni dei liutai più noti all’epoca quali Sesto Rocchi e Giuseppe Lucci, inizia a costruire un buon numero di strumenti originali che sempre più esprimono la sua personalità di liutaio, schietta e semplice, ma forte ed elegante al tempo stesso.

Negli ultimi trent’anni della sua vita Dante Regazzoni ha continuato a lavorare nella natia Valsassina in modo riservato e modesto, schivo da ogni rumore pubblicitario, creando molti strumenti: violini, viole, tre violoncelli e due chitarre.

1956
Medaglia d’oro dell’Accademia Nazionale S. Cecilia al duo violino e viola - 1956

Concorsi, Premi, Diplomi

1954

Partecipa con un violino al II Concorso Nazionale di Liuteria Contemporanea - Roma e viene ammesso.

1955

Espone un violino alla Mostra Nazionale della Liuteria Moderna - Ascoli Piceno.

1956

Partecipa con in violino e una viola al III Concorso Nazionale di Liuteria Contemporanea - Roma e ottiene i seguenti riconoscimenti:
1° - graduatoria gruppi strumenti (violino e viola)
2° - graduatoria viole
13° - graduatoria violini e i relativi premi:
Medaglia d’oro dell’ "Accademia Nazionale S. Cecilia" al duo (violino e viola)
Premio acquisto della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la viola ora al Museo degli strumenti musicali dell’Accademia S. Cecilia.

1957

Partecipa con un violino al Concorso Internazionale Liutistico "Wienawski-Wettewerb" - Poznam (Polonia) risultando primo degli italiani, a pari merito con Otello Bignami.

1958

Partecipa con un violino alla II Mostra del Violino Antico e Moderno - Pegli (Genova). Partecipa al Concorso di Maestro Liutaio presso la Scuola Statale Internazionale di Liuteria di Cremona. Risulta fra i sei finalisti.

1959

Partecipa con una viola alla Mostra Internazionale di Liuteria dedicata alla Viola Moderna - Ascoli Piceno. Così raccontava il Regazzoni ai suoi figli:
“Quando in mia presenza i liutai facenti parte la commissione aprirono la cassetta, rimasero meravigliati a tanto e subito la classificarono provvisoriamente fra le prime cinque. I liutai Garimberti e Ornati però, sapendomi già premiato al concorso di Roma del ’56, trovarono la scusa che non ero iscritto all’Albo degli Artigiani. Mi ritrovai così al quindicesimo posto, con il premio del Ministero Industria e Commercio, purchè iscritto all’Albo degli Artigiani. Dovetti far constatare all’ANLAI che la cosa non era fatta con giustizia. Alla fine tennero conto delle mie considerazioni e ricevetti il premio e il diploma”.

1968

Partecipa con una viola alla I Rassegna Mostra di Liuteria Moderna - Bagnocavallo e riceve un diploma di partecipazione e di merito.

1976

Partecipa con un violino e due viole alla I Triennale Internazionale degli Strumenti ad Arco - Cremona.

Biography - UK (pdf)


Cenni autobiografici

“Sin da ragazzetto (sei - sette anni) avevo una passione per lo studio del violino, questa provocata da un signore che era in quel tempo in villeggiatura al mio paese e che veniva spesso in casa mia, con mio fratello Antonio (in quel tempo organista e ottimo pianista) e si divertivano suonando assieme alcuni pezzi di violino e piano di facile esecuzione. Da allora il pensiero era sempre puntato al violino tanto che, in occasione di una festa natalizia di quel tempo manifestai in casa il desiderio di comprare un violino. Questo fu causa di un pandemonio. La conclusione fu un forte scapaccione e... ”sarebbe meglio imparare a lavorare”.

Verso i 17 anni, mentre lavoravo a Mandello, non potendo comprarmi il violino, incominciai lo studio del flauto e potei inserirmi ben presto nell’orchestrina del mio paese. La passione per il violino rispuntò qualche anno dopo quando conobbi, sempre a Mandello, un ragazzetto prodigio, Gilberto Todeschini, che mi diede le prime lezioni. Ebbi a nolo un violino di fabbrica e, in segreto, mi misi a studiare e a risparmiare. Tanta era la voglia che studiavo pure la notte. In breve tempo dal primo metodo Ferrara passai al secondo e, cambiato posto di lavoro (Lecco) cambiai pure maestro: prof. Galeazzi Annibale, allievo del M° Virgilio Ranzato e diplomato al Conservatorio di Parma. Nuovi metodi, nuovi insegnamenti e in breve tanti miglioramenti. Il violino di fabbrica però, dopo aver messo le dita su quello di autore del mio maestro, non mi dava soddisfazione. Mi misi allora in testa di avere un buon violino d’autore.
Era il tempo dell’ultima guerra d’Africa e, tramite un mio collega ebbi la possibilità di conoscere il liutaio Ferdinando Garimberti di Milano. Lo incontrai nel suo laboratorio. Dopo la prova di alcuni violini, finalmente ne trovai uno che mi piaceva. Quando il Maestro mi dichiarò il suo prezzo “ d’amico” mi demoralizzai e potei capire che non avrei mai potuto avere un bel violino d’autore (avevo in tasca trecento lire, frutto di molti anni di risparmi, e me ne venivano chieste tremila).
In quel momento arrivarono dei clienti elvetici importanti ed il maestro si ritirò in un’altra sala e mi lasciò per quasi un’ora solo nel laboratorio. Bastò un’occhiata alle forme, ai tasselli, ai filetti, agli attrezzi e subito mi balenò l’idea di costruire io stesso il mio violino.
Giunto a casa mi procurai un minimo di attrezzatura, un volumetto ed. Hoepli di liuteria e costruzione e mi misi all’opera, esaminando continuamente il violino Pedrazzini gentilmente concessomi dal mio insegnante prof. Galeazzi.
Ben lontano da quello che erano i miei lavori: ferro battuto, cesello a sbalzo, disegno in genere, meccanico di tessitura, in un primo tempo dovetti continuamente dedicarmi a prove e riprove per gli incollaggi, l’affilatura dei ferri ecc… ma tanta era la passione e la curiosità dell’esperimento, che subito il primo risultato fu di ottima riuscita (meglio della mia “cassettina”).
Rimaneva però di trovare una buona vernice e anche di questo ero completamente profano! Ad ogni modo visto il risultato in bianco mi invogliai a costruire altri violini e così la” malattia” per la liuteria aveva preso possesso in me.
Nel frattempo ebbi l’occasione di conoscere la vedova del famoso liutaio piemontese Genovesi, che abitava a Lecco, la quale gentilmente mi diede una ricetta di vernice del marito. Inizialmente la usai ma con scarso risultato perché rimaneva vitrea.
Un giorno sentii un messaggio radio che diceva: “Liutai italiani per qualunque informazione rivolgetevi a Cremona alla Scuola di Liuteria”. Non tralasciai neppure quello, scrissi subito e, fissato l’appuntamento col M° dirigente sig. Péter Tàtar, mi presentai con un violino bianco di mia costruzione. Il Tàtar era ungherese, di poche parole, e, esaminato lo strumento mi disse che se facevo simili violini avrei saputo anche verniciare. Allora non esitai a far vedere le mie note di prove già fatte sul tipo di vernice Genovesi e che non ero affatto soddisfatto perché era una vernice troppo vitrea. Allora mi portò tutte le modifiche a modo suo. Tornai a casa col mio violino, intenzionato a verniciare con la ricetta avuta. A dire il vero qualche miglioramento era stato ottenuto, ma non ancora soddisfacente.

Eravamo così nel 1944-45, periodo nel quale dovevo rimanere nascosto per non essere catturato dalle truppe naziste essendo renitente alla leva al richiamo della Repubblica di Salò e poco prima fuggiasco dalla Sicilia dove ero aggregato ai tedeschi ecc… anche la storia militare sarebbe troppo lunga.
Continue erano le prove e le ricerche...
Fu così che, parlando con un ispettore delle Poste, dove mia moglie lavorava, scoprii che un certo dott. Ravaioli, collezionista di strumenti era sfollato a Erba (Como). Non esitai a rintracciarlo ed ebbi l’onore di essere ricevuto gentilmente e, visto un mio violino bianco che portavo meco, subito si meravigliò della mia grande precisione. Ebbi poi l’occasione di tornare ancora diverse volte in casa sua anche solo per esaminare alcuni violini di autore della sua collezione tra i quali quello che mi piaceva di più era del Maestro Ornati di Milano che non esitai a copiare il più possibile in tutto quanto. Il sig. Ravaioli però mi disse subito che per ottenere consigli bisognava essere iscritti all’ANLAI.
Scrissi subito una lettera e così, tramite le istruzioni e i disegni avuti per corrispondenza dal Prof. dott. Pasqualini, presidente di tale associazione, a cui mi iscrissi nel 1954, potei ottenere un buon miglioramento.

Nello stesso anno,1954, partecipai per la prima volta al II Concorso Nazionale di S. Cecilia, in Roma ed ebbi la soddisfazione di essere ammesso. Spinto dalla curiosità andai io stesso a Roma, anche per prendere visione degli altri strumenti e conoscere altri liutai. In quell’occasione ebbi la fortuna di incontrare nel foyer del Teatro Argentina, nell’attesa del Ministro per il taglio del nastro, i fratelli Giacomo e Leandro Bisiach di Milano. Entrati insieme in sala strumenti, mi fecero notare alcuni difetti del mio violino ma nello stesso tempo fui subito riconosciuto come abile “la stoffa c’è!” dissero “venga da noi a Milano, le daremo un bel modellino e molte istruzioni” e potei così diventare subito loro allievo.
Grazie ai loro insegnamenti e alla mia caparbietà feci degli enormi progressi, acquistai sicurezza in me stesso, continuai la ricerca della perfezione da ogni punto di vista e acquisii un mio stile. Devo anche dire che l’unico aiuto valido sulla liuteria mi è stato dato dai fratelli Bisiach con cui ho collaborato fino all’ultimo.
Lavorai in continuazione, cominciando ad emergere nei concorsi fatti in seguito di cui parlano le lettere,i diplomi, i libri. Mi auguro che questi tanti miei sacrifici siano considerati da chi col tempo potrà suonare dei miei violini”.

Autobiografical notes - UK (pdf)


Testimonianza della figlia Giulia

L’arte in genere (musica, disegno, pittura, cesello) affascinò mio padre fin da bambino. La liuteria poi fu la sua grande passione che, nonostante le difficoltà e a fronte di indicibili sacrifici, coltivò con tenacia, amore e dedizione.
Amore e passione che, in modi diversi, trasmise ai suoi figli Domenica (pittrice e scultrice) e Cesare (compositore), oltre che al nipote Alessio Bidoli (violinista). Come non ricordare i freddi e lunghi pomeriggi domenicali in cui il papà, intorno al tavolo di cucina, ci insegnava a disegnare, dipingere, ritagliare, modellare, mentre la mamma sferruzzava silenziosamente i nostri maglioni?… e alla sera che gioia quando si coricava con noi! Le sue storie ci affascinavano, erano diverse da quelle raccontate a scuola, dalla nonna o dalla mamma, avevano sempre un nesso con l’arte e la musica: Cimabue e Giotto a gara di bravura, Paganini e le sue diavolerie violinistiche, gli episodi scherzosi dei loggionisti alla Scala, le stravaganze dei pittori locali (Todeschini). Anche le storie tragiche vissute durante la guerra avevano sempre sullo sfondo il violino. Infatti mio padre, sapendolo suonare, si era accattivato la simpatia dei tedeschi (a cui era stato aggregato per punizione) che, nei momenti di tregua, amavano sentirlo mentre si esibiva.
Riuscito, in seguito, a fuggire, dovette vivere sbandato fra i boschi sopra il paese e anche lì si portò, come corredo di sopravvivenza carta, matita, pennello e acquarelli.
Ricordo molto bene anche quando ricevette la lettera con l’esito del concorso del 1956: la sorpresa, la gioia, l’agitazione, i preparativi per recarsi a Roma a ritirare il premio…e poi i giornali con le sue foto.
Da quel giorno capii che iniziava un periodo nuovo. La nostra modesta abitazione diventò la meta di molti giornalisti, violinisti che venivano a vedere il laboratorio, a provare o far riparare gli strumenti e talvolta ad acquistarli. Da quel laboratorio, giustamente vietato a noi bambini, se non sotto la guida del papà, oltre ai rumori degli scalpelli, delle raspe, delle lime, dei piallini, dei voltini, cominciarono ad echeggiare delle splendide note... ma il profumo delle resine che invadeva la casa quando il papà si dedicava alla verniciatura è indimenticabile! E come impressionava la mia fantasia la scritta a caratteri cubitali “veleno” su alcuni vasetti!
Dopo il trasferimento nella nuova casa, mi ero fatta grande e le porte del nuovo laboratorio si aprirono. Ogni volta che varcavo quella porta, però, era come entrare in un luogo sacro, non toccavo nulla senza l’autorizzazione del papà. Egli mi scelse come unica collaboratrice, dopo la mamma che era stata la prima, nei momenti più duri, subito dopo la guerra. Il mio aiuto era indispensabile quando era il momento di incollare. Ogni volta era come la prima: prova a freddo di tutti i passaggi, accensione della stufa a segatura per riscaldare bene l’ambiente, preparazione della colla a “bagnomaria”, poi finalmente all’opera.
Ogni pezzo, dal più grande fino alla piccola losanga, veniva scaldato e mentre papà stendeva la colla su una parte, io continuavo a tenere in caldo l’altra, per far sì che la colla non rapprendesse e il risultato fosse perfetto.
Importante era la mia presenza soprattutto durante l’incollaggio delle losanghe, delle fasce, delle controfasce, del fondo e della tavola armonica perché dovevo aiutarlo a tenere lo strumento, a chiudere i morsetti tutto intorno nel minor tempo possibile.
E che dire della ricerca dei legni stagionati, soprattutto l’abete? Egli sapeva che era quello che acusticamente dà i risultati migliori. “I fornitori ufficiali” diceva “ti vendono legno appena tagliato per stagionato, lo seccano artificialmente. Per essere sicuri della stagionatura e conseguente sonorità, bisogna trovare le travi di qualche vecchio tetto che viene smantellato. Ai tempi rispettavano le regole della natura: taglio nel periodo invernale, fasi lunari, spaccatura e non segatura dell’albero per far sì che i liquidi defluissero”. Era sempre all’erta, molti conoscenti lo informavano e così, lui ed io, facevamo il sopralluogo nel cantiere indicato per esaminare le vecchie travi. Alcuni viaggi andavano a vuoto, ma altri erano fruttuosi: scelte le travi giuste si inviava l’autotrasportatore a ritirarle ed il falegname del paese con le sue macchine ne ritagliava gli spicchi da cui il papà ricavava le “favolose” tavole armoniche.
Purtroppo non sappiamo per quali strumenti siano state usate perché egli non amava catalogare. Se sollecitato, rispondeva: “I veri intenditori non hanno bisogno dei pezzi di carta”. “Un violino è come una sposa, oltre ad essere bella deve avere anche un bel vestito che la valorizzi: la vernice”. Quante volte sentii ripetere questa frase! Infatti non dimentico la cura e l’attenzione nella preparazione della vernice: la ricerca delle varie resine e coloranti naturali, il dosaggio dei vari componenti, l’esposizione al solleone della vernice ottenuta, le prove sulle fasce… Il calore e la luce dell’estate erano indispensabili per l’amalgama delle resine, ma anche per la stesura della vernice, preparata negli anni precedenti, sugli strumenti.
Quest’ultima operazione veniva eseguita esclusivamente nel periodo estivo sugli strumenti scolpiti durante la stagione fredda. Inizialmente la ricerca in questo ambito fu molto faticosa perché è risaputo quanto ogni liutaio ne sia geloso.
Egli però non si perse mai d’animo e raggiunse anche questo obiettivo. Restano a testimonianza di ciò innumerevoli quaderni con appunti, ricette, osservazioni. Anche se molti di essi li riteneva ormai inutili e superati dalla pratica, ultimamente li stava riguardando.
Un malore improvviso lo colse una fresca mattina di marzo, proprio con in mano uno di questi quaderni e un evidenziatore!

Lasciò un vuoto immenso. Non sentire più il suo continuo lavorio, lasciare quegli attrezzi, molti da lui stesso costruiti, inoperosi, stringeva il cuore.
Dopo un po’ di tempo, però, mia sorella Domenica, che spesso stava a meditare nello studio di papà, iniziò un nuovo percorso artistico attingendo l’ispirazione dai reperti del lavoro paterno (tavole di abete, fondi di acero, ponticelli, mentoniere, corde, vernici…). Nasceranno così moltissime opere che costituiranno la mostra “Dal legno al suono” che, partendo dal Palazzo Vecchio di Firenze, giungerà nel 2006 a Roma presso il Museo Archeologico dell’Auditorium. Proprio in questa occasione Domenica incontrerà i responsabili dell’Accademia S. Cecilia e da lì nascerà l’idea di trasferire il laboratorio del papà nel nascente Museo degli strumenti musicali, firmato Renzo Piano.
Il 16 febbraio 2008 s’inaugura il “Musa”. Entrando nella galleria espositiva dove si possono ammirare numerosi strumenti pregiati, a partire da uno Stradivari del 1690, ho potuto finalmente rivedere la viola Dante Paolo Regazzoni, strumento che aveva vinto il Concorso S. Cecilia nel 1956 e aveva avuto il premio consistente nell’acquisto da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Per molti anni papà aveva cercato di sapere dove fosse stata collocata: desiderava rivederla, ma nessuno aveva saputo dargli delucidazioni in merito (lettera Lucci 22 dic. 1990). La gioia a lui negata in vita è stata concessa a noi. Ma l’emozione più grande è stata rivedere ricostruito, dietro una grande vetrata, il laboratorio di liuteria con in primo piano il suo tavolo da lavoro, i suoi scalpelli, le sue forme, i suoi modelli… e una vetrina a tema a lui dedicata con diplomi e altri attrezzi significativi del suo laboratorio di Cortenova. Inoltre, in più punti della sala, grandi schermi su cui scorrevano le sue foto con le sequenze relative alle fasi di lavorazione di un violino.
In questa ricostruzione museale i suoi attrezzi verranno utilizzati dai liutai che si occupano di conservare e restaurare gli strumenti della collezione S. Cecilia, in modo visibile al pubblico. Verranno, inoltre, svolte attività educative per fasce di età allo scopo di avvicinare i ragazzi ai segreti della liuteria.
Proprio il mantenere vivo il suo laboratorio sono sicura sia stata la scelta migliore conseguente alla sua “silenziosa operosità e ricerca”.

Giulia Regazzoni

A Daughter’s testimony - UK (pdf)


Bibliografia

- G. Nicolini: “Liutai Italiani di Ieri e di Oggi” - Ed. Stradivari, Cremona, 1982

- C. Lebet: “Dictionnaire Universel des Luthiers” - Ed. Les Amis de la musique, Bruxelles, 1985

- R. Vannes: “Dictionnaire Universel des Luthiers” - Ed. Les Amis de la musique, Bruxelles, 1988

- U. Azzolina: “Liuteria Italiana Inedita” - Ed. Turris Cremona, 1991

- R. Codazzi, C. Manfredini: “La liuteria lombarda del '900” - Ente triennale degli strumenti ad arco Cremona, Silvana Editoriale, Milano 2002

- F. Cacciatori: "Il liutaio Dante Regazzoni" - Ed. Cremona Books, 2008

- F. Cacciatori: "Liutai Italiani del Novecento nelle collezioni del Museo del Violino" - 2022 (Cremona, prossima uscita)